L’arte contestuale di Alice Pasquini a Civitacampomarano

Dal 13 al 16 giugno 2018 a Civitacampomarano, piccolo borgo in provincia di Campobasso, ci sarà la quarta edizione del CVTà Street Fest, il festival di street art diretto da Alice Pasquini. Dopo il successo delle prime edizioni, l’interesse suscitato dall’evento è andato via via crescendo. Un programma ricco dove nulla è lasciato al caso: né gli artisti scelti, né gli ospiti, né gli eventi collaterali. Un festival che riesce a creare armonia tra passato e presente, guardando al futuro con l’obiettivo di preservare un territorio, farlo resistere, esistere e sopravvivere allo spopolamento, attraverso la resilienza e la rinascita basata su un progetto di sviluppo che ruota intorno all’arte contemporanea.

A raccontarci il CVTà Street Fest, nell’intervista che segue, sarà proprio la sua direttrice artistica, Alice Pasquini. Classe 1980, romana, Alice Pasquini – in arte Alice – è una delle artiste più note e apprezzate della street art internazionale.

Anche se tu preferisci chiamarla ‘arte contestuale’.
L’arte contestuale è alla base di tutto il mio lavoro. Ho scelto di lavorare sul muro e non su una tela, anzi il muro tutto bianco che assomiglia a una tela non mi interessa. Trovo molto più interessante la porta arrugginita. Per me non importa la dimensione del muro quanto la cultura del luogo dove si trova quel muro, cosa mi suggerisce la sua forma, in un determinato contesto. E lì a Civita è stato impressionante che tutto questo si legasse anche a un passato della mia vita.

A proposito di CVTÀ Street Fest, il tutto è nato per caso da una mail che hai ricevuto…
Sì, è stata un’incredibile coincidenza mentre ero a New York. Ylenia Carelli, la presidente della proloco di Civitacampomarano, ha visto un servizio su di me su Sky Arte e mi ha scritto una e-mail dicendo ‘non mi risponderai mai’. Ciò che lei non sapeva è che Civita per me non era un posto sconosciuto.

… ma è il paese di tuo nonno. Quali ricordi hai di lui legati a Civita?
Mio nonno e mia madre sono nati lì. Si sono spostati a Roma negli anni ’70. Mio nonno non faceva altro che parlare di Civita. Lui era il medico del paese, quindi conosceva tutto e tutti. È morto lo scorso anno, ha vissuto fino a 100 anni. Ancora oggi, quando vado lì, le persone mi raccontano le storie di come sono nati, di come lui le ha fatte nascere, delle malattie e di altri aneddoti. Penso che se oggi a Civita mi lasciano fare tutto quello che faccio è proprio grazie a mio nonno. Mia nonna, poi, è nata in un paese vicino, Trivento. In seguito, abbiamo scoperto che il nonno di Ylenia, la ragazza della proloco che mi ha scritto la mail, era colui con il quale mio nonno, in sella a un cavallo, andava a trovare mia nonna.

Da tutto questo è venuta l’idea dello Street Fest?
In realtà io non volevo fare nessun festival di nessun tipo, sono andata a Civita perché Ylenia me l’ha chiesto. È stata un’occasione per riscoprire il paese dove andavo quando ero bambina. Sulla carta sono 400 persone, in realtà molti di meno. Sono andata lì e ho dipinto soprattutto le vecchie scene di vita del paese, prese dalle vecchie fotografie quando Civita era un posto importante, un punto di riferimento sia culturale sia per gli uffici che c’erano. Le persone volevano che dipingessi il muro intonacato mentre io volevo dipingere sulle case abbandonate. E alla fine l’ho fatto.

Cosa ti ha colpita di più?
Quello che mi ha impressionata è stata proprio questa parte fantasma che per me come artista – un’artista che lavora sugli spazi pubblici, in particolare sui muri, e che cerca le superfici, la storia da inserire in un discorso – è chiaramente molto stimolante. L’idea è proprio quella di portare le persone anche nella parte ormai abbandonata. È un monumento alla memoria anche quello.

Poi le tue opere hanno suscitato curiosità…
In realtà è successo che a seguito di alcune interviste che sono uscite su alcuni giornali, sono arrivati dei turisti a Civita. Turisti che riscoprono così il castello, la storia, questo luogo attraverso una cosa così moderna come la street art, arrivando in un posto dove è difficilissimo arrivare. Da lì abbiamo iniziato a pensare – io e la ragazza della pro-loco – che magari l’arte contemporanea può aiutare anche economicamente questo posto a risorgere, a resistere. Che è quello che poi loro fanno. Quello che mi ha commossa sono queste ragazze che resistono in un contesto così isolato. Vuol dire essere davvero legati alle proprie radici. Non a caso ‘Resilienza’ è il titolo di uno dei muri che è stato fatto a Civita.

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L’arte contemporanea, quindi, può essere uno strumento di rinascita?
Secondo me il Molise è il simbolo di tutta una serie di situazioni simili. Sono terre purtroppo abbandonate, ci sono edifici che crolleranno perché non c’è nessuno che restaura le case. Allora perché non cominciamo a ospitare altre persone, magari immaginare un’economia diversa basata sullo scambio, sull’accoglienza? Questo è quello che è successo a Civita. Noi abbiamo fatto un festival senza avere un budget per fare un festival, né idea di come fare un festival. Abbiamo aperto le case perché non ci sono gli alberghi. Abbiamo fatto cucinare le signore. Tutto questo però è rivolto alla popolazione, perché volevamo fare un lavoro che coinvolgesse le persone di tutte le età, bambini compresi. Avere un intero villaggio a disposizione è possibile perché c’è una comunità dietro, c’è una volontà, se no chiaramente tutto questo non si potrebbe fare. E non avrebbe neanche senso. Di festival di street art ce ne sono tantissimi, noi non volevamo fare quello.

In un’intervista parli del muro come una storia da raccontare a cui tu aggiungi solo qualcosa.
La mia creatività – sia sui muri sia nel lavoro che faccio in studio – nasce da quello. Nei miei viaggi riporto a casa degli oggetti: giornali, cartoline ma anche oggetti che trovo sulla strada che sono un po’ il mio negozio di belle arti. C’è un recupero, c’è un discorso ecologico oltre che ideologico dietro al fatto di non voler comprare una tela. La mia fantasia si muove meglio dentro degli spunti e degli elementi di qualcos’altro, appunto lì dove c’è una storia. Un muro con una scritta vecchia e quasi cancellata conserva il passaggio di colori: questo mi ispira a fare un mio intervento. Intervento che tiene in considerazione quei colori lì, dove si trova il muro, la storia del quartiere. Questo non necessariamente a scopo narrativo, ma come punto di partenza per fare un lavoro che non potrebbe esistere in un altro luogo. In questo senso contestuale. Diverso da Singapore a Mosca o da New York a Civitacampomarano.

Come è avvenuta la scelta degli artisti che hanno partecipato e parteciperanno quest’anno?
Diciamo che è difficile scegliere gli artisti che possano lavorare in un posto come questo, pieno di storia. Capire su quali muri intervenire e quali no, cosa poter fare e cosa no. È sempre un rischio che uno si prende, quindi io scelgo gli artisti sulla base di quello che è il loro lavoro e su quanto il loro lavoro come poetica possa andar bene con quello che è già il tema unico del nostro festival. Che è un po’ come è stato negli anni passati. Per esempio, NeSpoon quando è venuta ha incontrato una signora che fa i merletti e insieme a lei ha riprodotto un merletto enorme con le bombolette spray su un vecchio muro. È tutto un dialogo, soprattutto tra il moderno e l’antico.

E invece l’edizione del 2018 come sarà?
In passato siamo stati abbastanza narrativi e descrittivi con i lavori che abbiamo fatto. Adesso stiamo cercando di andare sempre più verso installazioni, ma anche cose più effimere. Abbiamo aumentato quelli che sono i momenti di incontro tra chi viene al festival, gli artisti e la popolazione. Ci saranno dei workshop quest’anno sui cavatelli e sui merletti, che daranno vita poi a dei tutorial da pubblicare online affinché questo sapere non si perda. L’idea è che c’è da imparare, da tramandare, che questa è la nostra ultima possibilità di farlo perché comunque ci sono molti anziani in là con gli anni. Poi ci saranno anche momenti di musica, tour organizzati per scuole medie e superiori e vari ospiti: dai Têtes de Bois, che suonano in luoghi di transito e di passaggio, a Dj Gruff che ormai è un residente di Civita, poi ci sono i Senza Guinzaglio che sono coloro che hanno scritto la canzone ‘Help Civita‘ lo scorso anno e ci sarà anche la presenza di Molise Cinema con la presentazione di ‘Visages villages’ di JR e Agnès Varda, vincitore dell’Oeil D’Or al Festival di Cannes come miglior film documentario.

Insomma un festival decisamente ricco!
Quest’anno ci sono un sacco di eventi sparsi oltre ai quattro artisti che lavoreranno: Never2501, Alberonero, MP5 e Brus. Speriamo di riuscire a seguire tutto! (ride)

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