Amore nella tradizione, un racconto ambientato a Colletorto

Oggi siamo lieti di presentarvi un lavoro di due studentesse dell’Istituto Omnicomprensivo Statale di Casacalenda – Dalila Eremita & Angelica Tosques – realizzato per il progetto di alternanza scuola-lavoro “Moli.se nuove opportunità sul web”.
“Amore nella tradizione” è un racconto ambientato a Colletorto, nato da una storiella raccontata dalla nonna di Dalila e ambientato in un’epoca dove tra chi abitava nella parte alta del paese e chi nella parte bassa c’erano aspri conflitti. Il racconto, diviso in vari capitoli dove sono spiegate le usanze più sentite in paese, è frutto di un lungo lavoro di ricerca di testimonianze, interviste, fonti e trascrizione. Quella che segue è la prima parte. Buona lettura!

di Dalila Eremita & Angelica Tosques 

In un paesino prevalentemente rurale, chiamato Colletorto, vivevano campagnoli e Don. I Don con le loro case sfarzose vivevano in lusso ai piedi del colle, lungo l’attuale corso Vittorio Emanuele II e centro storico. La gente dei campi lavorava la terra alla sommità del colle. Le terre erano aspre e difficili da coltivare. Quelle dei signori circondavano la basilica di Santa Maria, zona opposta al Colle e più fertile perché nutrita dal fiume Vallone. La chiesa di Sant’Alfonso, con la sua grande scalinata, collegava il colle con il corso, ed era l’unico punto di incontro delle due frazioni.

L’odio tra le due parti sorse quando i campagnoli, mentre lavoravano le terre di un ricco signore, vennero accusati di aver trafugato delle provviste d’olio dei Don. I ricchi rimasero allibiti e i poveri contadini non lo confessarono mai. Intanto l’ostilità cresceva nel corso degli anni. I Don affermavano: “Sono asini! Non sanno neanche prendere in pugno una penna e immergerla nell’inchiostro!” Per contro i campagnoli: “Quelli scem, n sann manc scí dá n’ort d fav!”. Nelle zone più malfamate del paese vivevano anche gruppi di famiglie nullatenenti che ricavavano beni di primaria necessità servendo i Don. Essi venivano concessi in cambio di mansioni come: fare da balia, occuparsi della casa, cucire, cucinare, ricamare, per quanto riguardava le donne. Gli uomini, invece facevano da guardia all’orto e al bestiame durante la notte. Spesso le serve erano malparliere perché lavoravano per i ricchi ma frequentavano anche i campagnoli.

Il 29 agosto c’era una grande festa, quella di San Giovanni Battista, che colorava di gioia e fiori l’imponente scalinata. Quello era l’unico momento in cui i campagnoli erano vestiti con abiti eleganti quasi come i Don, tant’è che sembrava non ci fossero differenze fra i due, se non per il fatto che in un paesino la gente si conosce troppo bene. Entrambe le parti scendevano dal colle per rendervi partecipi ma anche in quel momento sacro e festoso l’odio non cessava. Prima di prendere atto alla processione venivano svolti dei giochi di abilità dove le due fazioni si sfidavano per ricevere l’onore di portare sulle spalle la statua del Santo. Da molti anni i ricchi Don vincevano le gare pagando i contadini più forti che gareggiavano al loro posto, però quell’anno c’era un giovane contadino prorompente e di bell’aspetto: Luigino.

Durante i giochi Luigino intravide una fanciulla seduta sulla scalinata da sola e con uno sguardo triste.
Era bella come un mandorlo in fiore, pensava lui. Luigino era tentato di andarle vicino per chiederle come mai un viso così dolce fosse così spento da quella tristezza… La ragazza si voltò e Luigino le sorrise, si sistemò il cravattino e mosse il primo passo con un portamento sicuro. Mentre la ragazza si era già voltata a guardare la gara, lui si sentì chiamare dagli amici per prendere parte al gioco più temuto: il palo della cuccagna. Consisteva nell’arrampicarsi su di un palo di circa quattro metri cosparso di grasso e, senza scivolare, prendere il cibo posto in cima al palo. Luigino si mise addosso degli abiti rovinati che gli furono dati dagli altri campagnoli per non sporcarsi. Mentre si vestiva pensava tra sé e sé che doveva assolutamente vincere, per la sua famiglia, per i campagnoli ma anche per quella ragazza misteriosa.

Quando fu pronto saltò sul palo con agilità accompagnato dai cori dei suoi sostenitori. Arrivò in poco tempo alla cima e afferrò con forza le salsicce. Fu subito festa per i campagnoli! Ci furono danze e cori, mentre i Don guardavano delusi standosene in disparte accanto alla chiesa. La ragazza intanto non si era mossa dalla scalinata e la sua espressione non era cambiata. Luigino, nonostante la folla riuscì a raggiungerla e le domandò, senza tanti giri di parole, il suo nome. “Michelina”, rispose lei timidamente. Luigino pensava la figlia di quale contadino fosse, ma non glielo chiese. Si sedette accanto a lei mentre i suoi amici continuavano a chiamarlo. Lui fingeva di non ascoltarli.
“Perché non vai dai tuoi amici a festeggiare?”, domandò lei.
“E tu perché non vieni?”, la bloccò lui sorridendo.
“Perché dovrei? Gli uomini di mio padre hanno perso la gara…”, disse lei chinando il capo.
Calò il silenzio tra i due.
“Sei la figlia di un signore?”, domandò sconcertato Luigino.
Michelina non rispose. Si alzò, lo salutò facendo un cenno col capo e se ne andò.
Luigino amareggiato posò gli occhi su di lei mentre si allontanava. Sapeva che i suoi occhi non si sarebbero mai posati su nulla di più bello.

LEGGI LA SECONDA PARTE DEL RACCONTO QUI.

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