Amore nella tradizione – 4 – U mbicc du sarracin

La storia d’amore tra Michelina e Luigino è finalmente sbocciata e i due si vedono in segreto in una zona isolata del paese, nei pressi di un’antica fontana. Ma questi incontri stanno stretti ai due amanti che progettano di fuggire insieme.

Se volete rinfrescarvi la memoria con le puntate precedenti del racconto, cliccate sui link seguenti:

AMORE NELLA TRADIZIONE – PARTE I
AMORE NELLA TRADIZIONE – PARTE II
AMORE NELLA TRADIZIONE – PARTE III

di Dalila Eremita & Angelica Tosques

Fragili boccioli sbocciavano sui rami degli alberi. La natura si svegliava dal lungo letargo. Il colle, su cui sorgeva quella parte del paese abitata dai campagnoli, sbadigliava al sorgere del sole accompagnato dal canto soave degli uccellini. Ai piedi del colle dove vivevano i don, le attività mattiniere fervevano e un nuovo odore avvolgeva le strade, ornate di colori tenui. Era primavera quando i due amanti iniziarono a vedersi di nascosto tra gli alberi che circondavano una delle più antiche fontane del paese: a fond Cerasa. Questa fontana è famosa per aver dissetato per anni il paese con le sue limpide acque. Trascorrevano lì intere giornate a donarsi baci e carezze, all’ombra degli ulivi. Michelina adorava il profumo di Luigino e la stretta delle sue mani forti che lei non voleva più lasciare. Le sue braccia avvolgevano il corpo della ragazza come a proteggerla dal vento che faceva oscillare i rami. C’era solo il silenzio come testimone del loro amore. Un amore segreto, senza nome né direzione. Essi sapevano che il loro sogno era quasi irrealizzabile ma non avrebbero potuto più tornare indietro. Non potevano immaginare una vita senza stare insieme come la luna non poteva immaginare una notte senza stelle.

Giunto mezzogiorno dovevano scappare via per non farsi scoprire dalla gente. Tornarono in paese dopo un nostalgico saluto. Luigino leggeva la malinconia sul volto della sua sposa. Doveva porre fine a quella tristezza e fuggire con lei era l’unica soluzione. Tanti lo avevano già fatto. In passato, quando una coppia voleva sposarsi ma non aveva il consenso dei genitori scappava. Una volta fatta la fuitina avrebbero dovuto poi sposarsi e Luigino aveva bisogno di trovare le fedi. Il giovane pensava tra sé a sé dove avrebbe potuto trovarle. ‘Al mercato? Ma no, lì non vendono queste cose!’

I suoi pensieri furono interrotti dall’arrivo di Francesco che gli disse: “Che ci fai qua? Dobbiamo andare a San Giuliano”. San Giuliano è un paese vicino Colletorto, con un gran mercato dove i campagnoli acquistavano spesso attrezzi. Lui e i suoi amici arrivarono in fretta ma, presi gli attrezzi, si avvicinò loro un bizzarro uomo che con accento ‘sarracino’, chiedendo: “Ha sì vist c bell irnata?”. I due annuirono con un cenno di capo. ‘Sarracini’ erano soprannominati gli abitanti di San Giuliano per la loro superbia. Si presentò come Raffaeluccio, dicendo che era un mercante della zona. I due pensarono fosse ricco per i suoi abiti eleganti e l’aspetto curato. Incuriosito, Luigino lo prese in disparte e gli chiese se poteva procurargli degli anelli. Raffaeluccio senza esitare rispose: “Cert cuccijlone, c penz ij”. ‘Cuccijlone’ è il termine con cui chiamano i colletortesi per via della loro testardaggine. I due si accordarono sul prezzo e si diedero appuntamento per il giorno dopo, quando Luigino avrebbe accompagnato altri campagnoli a comprare altri attrezzi.

Il furbo mercante, intuita la necessità del giovane, pensò di approfittare della situazione tenendo su il prezzo e intanto pensava a come fare a procurarsi gli anelli. Luigino d’altro canto, pensava a come racimolare quella somma. Chi l’avrebbe aiutato? Avrebbe dovuto confessarlo a Francesco, il suo amico fidato, una volga giunti a Colletorto. “Francé, mi devi aiutà”, disse Luigino disperato. Raccontato tutto, l’amico non si tirò indietro. Messo insieme il denaro, la mattina dopo, Luigino, andò a San Giuliano per incontrare Raffaeluccio che lo aspettava nella piazza. Lo scambio fu rapido e, poco lontano dalla folla, il campagnolo aprì il sacchettino e si accorse che non erano anelli d’oro ma di rame.

Preso dalla rabbia, Luigino si mise a urlare fra la gente: “Al ladro! Al ladro!”. I campagnoli, sentito il grido, si precipitarono dal malfattore. Una volta catturato, il più anziano fra i campagnoli si avvicinò con aria stupita e disse: “Ma tu sì Andonin!”. L’anziano riconobbe quel viso che aveva causato il grande odio tra don e campagnoli. Andonino era un abile truffatore che in passato aveva rubato le famose provviste d’olio dei don, incastrando i campagnoli che vennero accusati ingiustamente. Egli, circondato dai contadini con sguardi minacciosi, si spaventò e con voce rotta dalla paura cercò di giustificare l’accaduto dicendo: “Ma… ma io avevo preso in prestito l’olio, avrei riportato indietro ogni sua goccia”. Egli aveva quindi confessato il suo misfatto, attirando le attenzioni di alcuni don colletortesi che erano lì per il mercato. L’anziano aveva visto giusto. Tutto era più chiaro: i campagnoli erano sempre stati innocenti, pensarono i due uomini. Essi si avvicinarono al gruppo di contadini dicendo: “Ce ne occupiamo noi di lui!” e lo portarono via con forza. Luigino riprese i soldi deluso e amareggiato. Ritornando verso il suo paese un pensiero costante risuonava nella sua mente: dove avrebbe preso gli anelli?

LEGGI LA QUINTA E ULTIMA PARTE QUI.

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